domenica 12 marzo 2023

Data astrale 1032023. Santiago de Cuba (day 5-6)

  

Qualche giorno fa, arrivando (di sera) a Centro Habana, il quartiere dov’è ubicata la Casa particular che mi ha ospitato nel mio soggiorno nella capitale, il primo pensiero è stato “cazzo, pare Beirut” (in slang rigorosamente capitolino), mentre qualcun altro (vedendolo in videochiamata), ha trovato delle similitudini con Isola Capo Rizzuto. De segun como se mira, todo depende…

 

Ieri invece, arrivando qui in Calle Felix Peña a Santigo de Cuba, l’impressione è stata, se possibile, anche peggiore: un mix tra i vicoli della Cosenza vecchia non restaurata ed i Sassi di Matera prima che gli interventi di recupero li rendessero lo splendido luogo che possiamo ammirare ora.

 

Intendiamoci bene, a scanso di equivoci: non c’è nulla di discriminatorio o denigratorio in quello che ho scritto, ma solo un riferimento all’aspetto esteriore degli edifici ed al senso di abbandono che ne deriva, tutto qui.

 

Comunque, il taxi (taxi… più che altro una versione russa dell’Arna, dipinto di nero a pennello e totalmente privo di rivestimenti interni, peraltro condiviso con due ragazze francesi conosciute sul marciapiede dell’aeroporto. Roba da Backpackers) mi ha lasciato davanti alla porta di una casa a due piani molto, molto, ma molto rosa, sull’uscio della quale è apparsa, come per incanto, Lei.

 

Lei è Yadira, ed è bella e radiosa come il sole (giusto un po’ più scura).

 

Dopo avermi fatto entrare e salutato con molto garbo e cortesia, utilizzando una scala ripida e stretta su cui io facevo fatica ad arrampicarmi e lei saliva come uno stambecco, mi ha accompagnato al piano superiore, nel mio appartamento, dove mi ha mostrato le stanze, gli interruttori della luce (quasi tutti posizionati poco sopra al battiscopa, al posto delle prese di corrente, perché il vecchio impianto è saltato e così si evita di rifarlo completamente), il frigorifero (“è staccato, ma se compri qualcosa da metterci dentro lo puoi attaccare” – non lo farò) e mi ha fornito tutte le informazioni necessarie per il mio soggiorno e la mia sicurezza.

 

Prima di calarsi nuovamente nello strapiombo, però, mi ha detto: “Escuchame, Esteban… in questo momento non sto offrendo il servizio della colazione perché è difficile trovare pane, caffè, latte, formaggio, succhi di frutta…”, ma lo fa con gli occhi lucidi e la voce e l’espressione di chi sta trattenendo a stento le lacrime.

 

Booom.

 

A questo punto, ricacciando indietro le mie, di lacrime, e sfoderando il sorriso più accattivante che posso (nelle foto non sorrido, ma nella vita, ogni tanto, sì) e mettendole una mano sulla spalla, le risposto: “Escuchame, Yadira… io non faccio colazione neanche a casa mia, quindi non preoccuparti, non c’è nessun problema” (che poi è anche abbastanza vero, quindi non ho dovuto mentire più di tanto).

 

 

Ed invece stamattina la colazione l'ho fatta, comprando un cetriolo da un carrettino, ed ero stranamente sereno. Non so se potesse definirsi felicità, ma era quello stato d’animo che ti fa camminare leggero, al limite del saltellamento tipico dei bimbi che vanno verso le giostre, con un sorriso ebete ed immotivato sulle labbra.

 

Felici, invece, sembravano essere i ragazzini che, attorno a me, giocavano a baseball per la strada mentre mangiavo il cetriolo, come lo eravamo noi quando giocavamo a pallone per strada, almeno fino al momento di tornare a casa con le ginocchia sbucciate e, magari, i pantaloni bucati...

 

Qualche ora e molti kilometri dopo, tornato casa, Yadira mi ha fatto entrare nel suo soggiorno anni ‘70, mi ha fatto accomodare sul suo divano anni ’70 e, dopo aver acceso per me il ventilatore (più recente, ma non di molto), abbiamo conversato amabilmente di Cuba, della sua famiglia sparsa per il mondo, della sua infanzia, del fatto che, pur potendolo fare, non vuole lasciare Cuba perché lei, pur non essendo felice, sta bene qui, e mi ha offerto un graditissimo bicchiere d’acqua del rubinetto fresca di frigorifero, non prima di avermi amorevolmente avvertito che, pur essendo potabile, depurata e filtrata, avrebbe potuto causar daño…

 

Ecco, solo dopo quelle chiacchiere e quel bicchiere d’acqua, risalendo l’erta che mi portava nei miei alloggi anni ’70, ho capito a cosa fosse dovuta la leggerezza ed il sorriso ebete di questa mattina: sono innamorato.

 

Proprio così. E non importa se Yadira ha 72 anni: io l’amo!

 

Ora però vado a nanna, perché domattina la sveglia suonerà prestissimo: c’è la gara di Dita da seguire, ed io sono un papà assente ma ligio.


P.S.Oggi ho camminato (molto) per le strade di Santiago, ma anche su quelle di Cutro.

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