martedì 14 marzo 2023

Data astrale 1332023. La Comandancia de la Plata (day 7-8)

 Approfitto di qualche ora di sosta alla stazione degli autobus per buttare giù “due righe” sulla visita di oggi, e lo faccio in un modo che non amo particolarmente, ovvero scrivendo al presente, per verificare se ci riesco e, soprattutto, per vedere se riesco a farmelo piacere.

 

Partiamo da ieri: alle 15:00 parto in autobus alla volta di Bayamo, senza avere la minima idea sul come raggiungere Santo Domingo, a circa un’ora e mezza di strada, dove devo passare la notte. Durante il viaggio contatto Casa Sierra Maestra, che pensavo essere un Hotel ed invece si rivela essere una Casa particular, e, grazie alla collaborazione (non proprio disinteressata) di Ulysses – proprietario, consierge, cameriere, receptionist, mannyaggiustatutto e chissà cos’altro della struttura – riesco ad organizzare sia gli spostamenti che la visita al Parque National del Turquino ed alla Comandancia de la Plata, sia pure al costo di un trapianto di rene (voi fa’ ‘r viaggiatore disorganizzato? Paga).

 

Il dio dei zainari, però, si muove evidentemente a compassione ed all’arrivo alla stazione dei bus mi fa incontrare una coppia di backpackers olandesi, altrettanto (consapevolmente) disorganizzati ed interessati allo stesso itinerario; in pochi minuti riesco facilmente a convincerli a dormire nel mio stesso posto ed a condividere la visita dell’indomani, il che mi permette di ridurre di un buon 30% i costi. Tiè!

 

E qui comincia l’avventura del signor Bonaventura, ripeteva sempre mia madre quando ero piccolo e, puntualmente, ci perdevamo a causa dell’inesistente senso dell’orientamento di mio padre.

 

Alexey, l’autista inviatoci da Ulysses, ci fa accomodare nella cabina di un enorme camion di fabbricazione russa a trazione integrale (due sul sedile ed uno nella cuccetta, insieme agli zaini), che ha un cassone posteriore all’interno del quale, lungo la strada, prendono posto decine di persone, salendo e scendendo come si trattasse di un autobus.

 

Anzi, ci spiega, si tratta proprio di una sorta di autobus perché al primo punto del contratto di affitto che ha firmato con l’autorità provinciale per noleggiare il mezzo (che, forse, tra quattro anni potrà acquistare, se avrà abbastanza denaro e non ci saranno state lamentele nei suoi confronti), c’è proprio l’utilità sociale: tu porta chi ti pare, però lungo la strada devi far salire chi te lo chiede, ed a prezzi regolamentati (roba di centesimi di euro).

 

Ecco perché noi, che siamo turisti e paghiamo enormemente più di loro, veniamo fatti accomodare nella cabina, con sedili “comodi” ed “aria condizionata” (le virgolette sono d’obbligo).

 

Comunque, il viaggio è piacevole e, tra una chiacchiera e l’altra, si svolge senza grossi scoss… No, direi proprio di no: la strada è completamente sgarrupata e per un’ora e mezzo i miei compagni d’avventura ed io veniamo sballottati da una parte all’altra, che neanche il Frecciarossa per Reggio Calabria; come se non bastasse, ci arrampichiamo su pendenze che superano il 30% e che non credevo si potessero salire con mezzi diversi dai fuoristrada, auto o moto che siano (e questo spiega l’utilizzo di un mezzo con trazione integrale), dove “l’asfalto” è sostituito dal cemento striato (non so come si chiami, ma è quello che si usa per le rampe dei garage, per capirci) che, oltre a mischiarti le vertebre, ti allenta anche i bulloni delle protesi dentarie.

 

In compenso, lo spettacolo della Sierra Maestra al tramonto è spettacolare, da togliere il fiato e questo ripaga di tutto.

 

Alla fine arriviamo a destinazione e, prima ancora di andare in stanza per lasciare gli zaini, ci sediamo per cenare, anche perché Ulysses ci dice che la luce non tornerà prima delle 8:00 de la tarde (questa almeno è la sua speranza), e le stanze sono al buio, mentre la zona ristorante è alimentata da un gruppo elettrogeno a benzina.

 

A cena, i miei nuovi amici mi raccontano di essersi conosciuti casualmente qualche anni fa in aereo, trovandosi seduti l’uno accanto all’altra accanto dopo una serie di cambi di posto da parte dell’equipaggio, e di essersi trovati subito in sintonia proprio parlando di viaggi. Romanticherie a parte, mi dicono che, appena hanno messo da parte abbastanza soldi, si sono ritirati dal lavoro (tradotto: sono andati in pensione) nonostante fossero ancora relativamente giovani, si sono trasferiti un appartamento “piccolo ed umile”, il tutto per avere la possibilità di viaggiare ogni qualvolta se lo possono permettere. Che dire… chapeau.

 

Finito di cenare (omelette, pomodori e melanzane sott’olio per me), approfittando del fatto che, nel frattempo, è tornata la luce, Ulysses ci accompagna nelle nostre stanze, raggiungibili dopo aver attraversato il greto di un fiume in secca camminando su una passerella di tavole e canne di bambù che, per quanto ondeggia, sembra piuttosto un ponte tibetano. Il tutto, ovviamente, alla luce della torcia del telefonino.

 

La stanza è carina, ed il servizio è eccellente e pronto a soddisfare tutte le nostre esigenze: non faccio in tempo a dire che nella doccia c’è una blatta grande come un’aragosta, che Ulysses ha già provveduto a toglierla da lì, garantendole una degna sepoltura con rito vichingo nel wc (la mattina dopo ne ho trovata una ancora più grande, ma ho provveduto autonomamente, sfruttando l’esperienza accumulata a Reggio Calabria).

 

Però, c’è sempre un però… Va bene tutto, ma ci sono cose su cui non si può soprassedere e far finta di nulla, perché travalicano i limiti della sopportazione; ora dico: ma se hai due letti matrimoniali nella stessa stanza, come ti viene in mente di coprirli con un copriletto giallo ed uno rosso? E dai, su, almeno un minimo di decenza…

 

Ok, torno in versione Zen e vado a nanna.

 

Alle 7, quando ormai da almeno un’ora un numero imprecisato di galli avverte l’intera vallata che l’alba si sta appropinquando (sabato, qui, è cambiato l’orario, quindi albeggia tardi), suona la sveglia; una doccia veloce (aaaah Ulysses, “l’acqua non è molto calda” un cazzo, questa è proprio gelata), qualche foto in giro e sono pronto per la colazione (omelette, pomodori e pane con miele) e poi via verso nuove avventure.

 

Per raggiungere la Comandancia bisogna percorrere due kilometri in auto, che permettono di coprire i 600 metri di dislivello (pendenza media 30%, con punte al 45%, delle vere e proprie pettate (scusate il gergo ciclistico, vecchie abitudini) tra l’ingresso del parco ed il punto di partenza della camminata, che consiste in un altro paio di kilometri a piedi su un sentiero, troppo sgarrupato anche per chiamarsi così.

 

La guida, in un inglese un po’ stentato ma che dimostra enorme volontà, ci racconta della rivoluzione, degli anni della guerrilla, ci fa immergere nella vita degli uomini che hanno passato mesi in quella foresta, combattendo e nascondendosi, vivendo di notte per sfuggire agli aerei di Batista che avrebbero potuto individuare scie di fumo o colonne di persone, ma ci illustra anche le piante, i fiori, gli uccelli, quasi ad ingentilire un po’ quell’atmosfera di sudore, sacrificio e morte. Ci racconta dei campesinos, quelli di allora che aiutarono Fidel ed i suoi uomini, e di quelli di ora, che abbandonano le montagne perché le condizioni di vita sono troppo dure, “perché qui non c’è elettricità, e oggi nessuno vuole vivere senza elettricità”.

 

Però”, aggiunge, “adesso la Rivoluzione fornisce a chi rimane in montagna molti pannelli solari, così posso avere l’elettricità”. La Rivoluzione. Non lo Stato, non il Governo, non il partito. La rivoluzione.

 

Riguardo il villaggio vero e proprio, le capanne di legno con i tetti di foglie di palma e/o lamiera dove Castro ed un manipolo di barbudos vissero quella fase fondamentale della Rivoluzione, non molto ravvicinate tra loro per evitare che potessero essere distrutte contemporaneamente da un bombardamento, sono talmente ben posizionate e mimetizzate da risultare invisibili anche da pochi metri di distanza, figuriamoci dall’alto (e infatti non furono mai colpite dai bombardamenti ad mentula canis operati dai bombardieri di Batista nella zona, nel tentativo di stanarli); ovviamente, per via del tempo trascorso e degli uragani che si sono abbattuti su di esso, in parte si tratta di una ricostruzione dell’accampamento originario (nella casa di Fidel sono conservati il letto, il tavolo ed il frigorifero a petrolio originali, per gli amanti del genere), ma rende perfettamente l’idea delle condizioni in cui vivevano i suoi abitanti, e sembra quasi di vederli, in cerchio, a discutere di tattiche di guerriglia, di socialismo, delle famiglie lasciate chissà dove o a stramaledir le donne, il tempo ed il governo in attesa di vedere arrivare o partire una pallottola o una granata.

 

Finita la visita, si torna giù per lo stesso sentiero sgarrupato e la stessa strada, pettate comprese (ma stavolta in discesa, e sono ancora più impressionanti); rientrati Casa particular, pranzo (manco a dirlo, omelette e pomodori, questa volta con un po’ di formaggio), (ghiaccio)doccia e poi via, alla volta di Bayamo, e così facciamo.

 

Salutato il nostro uomo a Bayamo (semi cit., giusto per fare un mix tra Joyce e Greene), saliamo in cabina e, dopo aver affrontato discese particolarmente ardite – che, vista la stazza del mezzo, costringono il motore ad urlare come neanche Al Bano nei momenti migliori, e che i ragazzini del luogo scendono con i carretti in legno (che ricordi...) – e speculari risalite, arriviamo a Bartolomè del Maso, dove il nostro amico Alexey carica nel cassone posteriore non meno di una cinquantina di donne, uomini e bambini, molti con bagaglio al seguito (la portata ci aveva detto essere di 30 persone, 20 sedute e 10 in piedi) stipati come bovini diretti al macello. “Però” ci dice sempre l’autista, indovinando i nostri pensieri dalle facce incredule, “sono fortunati perché questo è il mezzo più nuovo ed efficiente della provincia”. E la cosa peggiore è che ha anche ragione.

 

Che culo.


P.S. E' ufficiale: scrivere al presente non mi riesce e non mi piace. FAILED.

domenica 12 marzo 2023

Data astrale 1032023. Santiago de Cuba (day 5-6)

  

Qualche giorno fa, arrivando (di sera) a Centro Habana, il quartiere dov’è ubicata la Casa particular che mi ha ospitato nel mio soggiorno nella capitale, il primo pensiero è stato “cazzo, pare Beirut” (in slang rigorosamente capitolino), mentre qualcun altro (vedendolo in videochiamata), ha trovato delle similitudini con Isola Capo Rizzuto. De segun como se mira, todo depende…

 

Ieri invece, arrivando qui in Calle Felix Peña a Santigo de Cuba, l’impressione è stata, se possibile, anche peggiore: un mix tra i vicoli della Cosenza vecchia non restaurata ed i Sassi di Matera prima che gli interventi di recupero li rendessero lo splendido luogo che possiamo ammirare ora.

 

Intendiamoci bene, a scanso di equivoci: non c’è nulla di discriminatorio o denigratorio in quello che ho scritto, ma solo un riferimento all’aspetto esteriore degli edifici ed al senso di abbandono che ne deriva, tutto qui.

 

Comunque, il taxi (taxi… più che altro una versione russa dell’Arna, dipinto di nero a pennello e totalmente privo di rivestimenti interni, peraltro condiviso con due ragazze francesi conosciute sul marciapiede dell’aeroporto. Roba da Backpackers) mi ha lasciato davanti alla porta di una casa a due piani molto, molto, ma molto rosa, sull’uscio della quale è apparsa, come per incanto, Lei.

 

Lei è Yadira, ed è bella e radiosa come il sole (giusto un po’ più scura).

 

Dopo avermi fatto entrare e salutato con molto garbo e cortesia, utilizzando una scala ripida e stretta su cui io facevo fatica ad arrampicarmi e lei saliva come uno stambecco, mi ha accompagnato al piano superiore, nel mio appartamento, dove mi ha mostrato le stanze, gli interruttori della luce (quasi tutti posizionati poco sopra al battiscopa, al posto delle prese di corrente, perché il vecchio impianto è saltato e così si evita di rifarlo completamente), il frigorifero (“è staccato, ma se compri qualcosa da metterci dentro lo puoi attaccare” – non lo farò) e mi ha fornito tutte le informazioni necessarie per il mio soggiorno e la mia sicurezza.

 

Prima di calarsi nuovamente nello strapiombo, però, mi ha detto: “Escuchame, Esteban… in questo momento non sto offrendo il servizio della colazione perché è difficile trovare pane, caffè, latte, formaggio, succhi di frutta…”, ma lo fa con gli occhi lucidi e la voce e l’espressione di chi sta trattenendo a stento le lacrime.

 

Booom.

 

A questo punto, ricacciando indietro le mie, di lacrime, e sfoderando il sorriso più accattivante che posso (nelle foto non sorrido, ma nella vita, ogni tanto, sì) e mettendole una mano sulla spalla, le risposto: “Escuchame, Yadira… io non faccio colazione neanche a casa mia, quindi non preoccuparti, non c’è nessun problema” (che poi è anche abbastanza vero, quindi non ho dovuto mentire più di tanto).

 

 

Ed invece stamattina la colazione l'ho fatta, comprando un cetriolo da un carrettino, ed ero stranamente sereno. Non so se potesse definirsi felicità, ma era quello stato d’animo che ti fa camminare leggero, al limite del saltellamento tipico dei bimbi che vanno verso le giostre, con un sorriso ebete ed immotivato sulle labbra.

 

Felici, invece, sembravano essere i ragazzini che, attorno a me, giocavano a baseball per la strada mentre mangiavo il cetriolo, come lo eravamo noi quando giocavamo a pallone per strada, almeno fino al momento di tornare a casa con le ginocchia sbucciate e, magari, i pantaloni bucati...

 

Qualche ora e molti kilometri dopo, tornato casa, Yadira mi ha fatto entrare nel suo soggiorno anni ‘70, mi ha fatto accomodare sul suo divano anni ’70 e, dopo aver acceso per me il ventilatore (più recente, ma non di molto), abbiamo conversato amabilmente di Cuba, della sua famiglia sparsa per il mondo, della sua infanzia, del fatto che, pur potendolo fare, non vuole lasciare Cuba perché lei, pur non essendo felice, sta bene qui, e mi ha offerto un graditissimo bicchiere d’acqua del rubinetto fresca di frigorifero, non prima di avermi amorevolmente avvertito che, pur essendo potabile, depurata e filtrata, avrebbe potuto causar daño…

 

Ecco, solo dopo quelle chiacchiere e quel bicchiere d’acqua, risalendo l’erta che mi portava nei miei alloggi anni ’70, ho capito a cosa fosse dovuta la leggerezza ed il sorriso ebete di questa mattina: sono innamorato.

 

Proprio così. E non importa se Yadira ha 72 anni: io l’amo!

 

Ora però vado a nanna, perché domattina la sveglia suonerà prestissimo: c’è la gara di Dita da seguire, ed io sono un papà assente ma ligio.


P.S.Oggi ho camminato (molto) per le strade di Santiago, ma anche su quelle di Cutro.

giovedì 9 marzo 2023

Il mio viaggio a L'Havana (Nota di servizio)


Uno degli aspetti più caratteristici riguardo l’organizzazione dei miei viaggi è che non c’è praticamente nulla di organizzato, ma solo un’idea di fondo di quello che mi piacerebbe fare e di ciò che mi interesserebbe visitare.

 

Ovviamente acquisto per tempo (parliamone...) i biglietti di andata e ritorno e quelli per gli spostamenti fondamentali che possano correre il rischio di esaurirsi, prenoto un posto per dormire nella prima destinazione, ma il resto mi piace stabilirlo day by day, step by step, sul posto, una volta che mi sono fatto un’idea su come stiano realmente le cose lì e su quello che mi va davvero di fare in quel momento (Battà, ti suona familiare?).

 

Va da sé che aborro mughinamente i viaggi organizzati, le gite organizzate in cui ti vogliono vendere le pentole e ti portano nel negozio di tappeti più conveniente della città, dove ti faranno un ulteriore sconto, ma solo per oggi (tipo Poltrone e Sofà, per intenderci) e un po' anche le guide turistiche (quelle in carne ed ossa, intendo, non la Lonely Planet), pur consapevole della loro utilità sociale.

 

Questo viaggio, ovviamente, non fa eccezione. Anzi, ne è la dimostrazione più eclatante, un po’ per necessità (dopo la pandemia, i voli interni sono ripresi, scarsissimi, solo pochi mesi fa, mentre i treni passeggeri si sono praticamente estinti) e un po’ perché non voglio alcun tipo di vincolo (Libertààààà, direbbe Chico – questa non è per tutti). Come si faccia a decidere mesi o anni prima, nel dettaglio, cosa si avrà voglia di fare mesi o anni dopo rimane per me un mistero.

 

Comunque, l’architettura di massima del viaggio è composta da tre parti, non impermeabili tra loro.

 

La prima, quella cittadina, dopo L’Havana mi porterà, domani (data obbligata per via dei voli bisettimanali), a visitare Santiago di Cuba per un paio di giorni.

 

La seconda sarà dedicata ai luoghi della Revolución, e, dopo la visita a Bayamo ed alla Comandacia de la Plata di lunedì (anche questa data obbligata, data la scarsità di stanze nell’hotel (oddio, hotel… più che altro si tratta di qualche bungalow nel pieno della Sierra Maestra), dovrei raggiungere, rigorosamente in bus, Santa Clara, Cienfuegos, Playa Giron (più conosciuta come Baia dei Porci) e poi di nuovo Santa Clara (l’ordine degli fattori è ancora in fase di elaborazione, ma non dovrebbe modificare il risultato). Rimangono da inserire alcune possibili integrazioni o variazioni, tipo Trinidad e Viñales, ma vanno incastrate in uno schema spazio-temporale dominato dalla variabile Viazul (che, più semplicemente, significa che dipende dagli orari e dalla frequenza dei bus e da dove mi troverò quando dovrò decidere). Vedremo.

 

La terza ed ultima parte, prima di rientrare a L’Havana per il viaggio di ritorno (sempre che decida di ritornare…), sarà quella turistica, con un paio di giorni con le… i piedi (avrei voluto scrivere altro, ma i miei czz di filtri non me lo permettono) a mollo nel mare di Varadero sorseggiando Piña Colada (lo so, fa molto anni ’80 ma rende benissimo l’idea) ed un paio di giri sul locale campo da golf. In fondo, sono sempre un golfista (se, va bè) in vacanza ai Caraibi, pev dindivindina

 

Sì, lo so… “dove sono finite tutte le pippe sulla rivoluzione, e Che Guevara, El pueblo unido?”

 

Si potrebbe parlare a lungo del fatto il turismo, in ogni sua forma, è una delle poche forme di sostentamento del Paese, ma anche sticazzi.


Do I contradict myself?

Very well, then I contradict myself,

I am large, I contain multitudes.

(Song of myself – Walt Whitman).


martedì 7 marzo 2023

Il mio viaggio a L'Havana (Day 1)

 Piccola premessa: non sono un influencer o una guida turistica, quindi non devo e non voglio convincere nessuno di qualcosa. Questo vuole essere solo un diario di viaggio, il mio diario di viaggio, nel quale scrivere come voglio quello che voglio, senza troppi filtri e seghe mentali o le mie solite 1000 revisioni del testo da perenne insoddisfatto. 

Il diario di un viaggio sognato per trent’anni e rinviato più volte per le ragioni più disparate: opportunità, possibilità, pigrizia e, da ultimo, la pandemia, che mi ha fermato quando avevo quasi un piede in aeroporto.

 

Nel frattempo, da quei primi anni ’90 ad oggi, è cambiato tutto.

 

È cambiato il mondo, con la dissoluzione dell’Unione Sovietica e la trasformazione della Russia in una oligarchia energetica (quando si dice la legge del contrappasso) guidata da un padre-padrone che la governa con i metodi acquisiti nella sua precedente attività (qualcuno lo definisce un mix tra Nicola II e Stalin, non sbagliando di molto), e la Cina in cui vige ormai da anni una sorta di comunismo capitalista, che ha trasformato un ossimoro in un sistema economico che (un po’ ad intermittenza) le garantisce una crescita che pare inarrestabile.

 

E’ cambiata l’Europa, con molti paesi dell’ex “blocco sovietico” che sono divenuti delle democrazie (o presunte tali), l’Europa orientale trasformata nell’ennesimo “giardino di casa” (anche se backyard rende meglio l’idea di barbecue, camicie a fiori e Budweiser) degli Stati Uniti ed i partiti comunisti riciclatisi in partiti socialdemocratici piuttosto sbiaditi (quando va bene) o in accozzaglie democristiane pseudo-progressiste come nel caso dell’Italia (se a quel tempo avessi pensato che quanto nato alla Bolognina sulle ceneri del PCI sarebbe finito nelle mani di Renzi, mi sarei dato del matto del solo).

 

È cambiata Cuba, con la morte di Fidel Castro e l’abbandono della guida del Paese da parte del fratello Raul, e gli echi della Revolution sempre più flebili e lontani.

 

Soprattutto sono cambiato io: il ragazzo poco più che ventenne, pieno di energie ed ideali che voleva scoprire il mondo, ha lasciato il posto ad un uomo poco più che cinquantenne piuttosto stanco, acciaccato e disilluso, con due (splendide) mogli, due (meravigliosi) figli e qualche scimmia sulle spalle.

 

L’unica cosa che non è cambiata è questo cazzo di piratesco (cit.) e criminale bloqueo.

 

Ok, basta pistolotti, promesso (se, va be’).

 

P.S. Il budget per questo viaggio è il regalo dei miei amici per il mio 50° compleanno, ideato ed organizzato (il regalo, non il viaggio) da mia moglie. Sì, lo so cosa qual è la prima cosa che viene in mente, ma la risposta è molto semplice: ho degli ottimi amici ed una moglie splendida (l’avevo detto, no?!).

 

 

Data astrale 632023 (day 1)

Roma-Parigi-L’Havana

 

Quello che avrei dovuto prendere il 14 marzo 2020 sarebbe stato uno degli ultimi voli diretti Roma-L’Havana operato da Alitalia, che aveva programmato di chiudere la rotta alla fine di quello stesso mese. Poi la pandemia, Alitalia ha definitivamente (?) chiuso i battenti, ITA non sa né cosa fare da grande e né se ci diventerà mai, sta di fatto che per volare a Cuba bisogna fare scalo.

 

Dopo una rapida cernita, circa sei o sette mesi fa ho comperato il biglietto per un volo Air France via Parigi in Premium economy (1.400 euro circa); qualche tempo dopo, girovagando in rete, la notizia che non ti aspetti (e che Alitalia, o la società che per essa gestisce il programma Millemiglia, si era ben guardata dal diffondere): i punti Millemiglia si possono nuovamente utilizzare per l’acquisto di voli Air France!

 

Che botta di culo. E chi te manna??

 

Va bè, per farla breve, ho annullato il volo in Premium economy, completamente rimborsato, e, con i punti che avevo accumulato prima della dipartita di Alitalia, ho acquistato un biglietto in Business class alla stratosferica cifra di… 400 euro.

 

Ergo, non solo si viaggia in Business, ma con i soldi risparmiati mi ci pago praticamente l’intera vacanza! L’unico inconveniente è stato quello di dover rinviare il rientro di 3 giorni, ma è un sacrificio che si può sopportare…

 

Insomma, nella vita ci vuole anche un po’ di culo.

 

Nei viaggi a medio raggio, la differenza fondamentale tra la classe Economy e la Business la noti al momento del pasto: invece delle stoviglie in plastica e dei tovaglioli di carta, in Business i piatti sono fatti di piatto, le posate di posata, i bicchieri di bicchiere ed i tovaglioli di tovagliolo, la qualità del cibo è decisamente superiore, e gli assistenti di volo, (generalmente) già gentili di loro, sono ancor più cortesi ed attenti. Piccolo appunto per Air France: non c’è la possibilità di scelta dei menù, quindi, se sei vegetariano, mangi quello che puoi ed il resto lo rimandi indietro (cosa che io odio con tutte le mie forze).

 

Il discorso cambia radicalmente quando si parla di voli a lunga percorrenza, dove l’accoglienza e l’attenzione verso il passeggero sono veramente al top, ma la vera differenza la fa lo spazio a disposizione ed il confort di viaggio: sedile che si sdraia completamente e si trasforma in letto (credo che al ritorno mi farò uno quei sonni…), schermo grande dove poter vedere un gran numero di film (credo ce ne saranno stati almeno una trentina, quasi tutti piuttosto recenti), cuffie on ear di ottima qualità che isolano completamente dai rumori esterni, molti spazi per riporre le proprie cose.

 

Come dicevo, anche qui l’attenzione ai particolari ed alla soddisfazione del passeggero non mancano (Champagne di benvenuto, Champagne dopo il decollo, Champagne quando vuoi, etc) e la cena è stata davvero di buon livello, annaffiata con ottimi vini (francesi, ca fa sans dire). A differenza del Roma-Parigi, qui c’era la possibilità di scelta tra diversi menù (dal Kosher all’indiano, dal menù per celiaci a quello senza lattosio, dal vegano all’onnivoro), salvo poi ritrovarsi del sashimi di salmone nel menù vegetariano e sentirsi rispondere che non avevano a disposizione un antipasto vegetariano, quindi… niente antipasto. Un po’ una caduta di stile, ma sopravviveremo.

 

Tra i due voli, una menzione particolare la merita la Lounge Air France dell’aeroporto di Parigi: un luogo talmente accogliente che ci sarei rimasto tutto il giorno (e infatti stavo per perdere il volo per L’Havana): cibi di ogni tipo, bevande, vini e liquori a non finire, che saranno di grande aiuto quando, nel viaggio di ritorno, dovrò passarci tipo 8 ore.

 

Tornando al volo, dopo una decina di ore, 3 film ed una buona quantità di alcool ingurgitata, ecco spuntare dal nulla La isla maravillosa y rebelde.

 

La prima cosa che ho notato e che mi ha provocato un piccolo tuffo al cuore è stata che l’isola era buia, maledettamente buia, abituato come sono a volare di notte sopra l’Italia, con città ben illuminate che si susseguono senza soluzione di continuità a formare uno spettacolo meraviglioso.

 

In aeroporto le varie trafile burocratiche si sono svolte senza problemi e piuttosto velocemente, ed appena uscito ho trovato ad aspettarmi l’autista mandato da Yurgen, il padrone dalla casa particular dove alloggerò per i prossimi 4 giorni, che mi ha portato in città con la sua auto.

 

Ecco, le auto. Penso che sulle automobili che circolano a Cuba si potrebbe scrivere un libro, e se mi andrà gli dedicherò un po’ di spazio nei prossimi giorni, però nel vederle nel parcheggio dell’aeroporto e lungo la strada per L’Havana ho riprovato la stessa sensazione già provata osservando il buio dell’isola. Non so con precisione quale, ma era la stessa.

 

Va bè, come primo giorno credo possa bastare, il resto nelle prossime puntate, sempre su questi schermi.

P.S. Non so se sia colpa delle restrizioni, della linea internet o della mia quasi totale incapacità, aggravata dal fatto che non scrivo su questo blog da 10 anni, ma in questo momento non riesco a caricare le immagini. Tenterò di risolvere in qualche modo, oppure bisognerà accontentarsi dello scritto.

lunedì 28 aprile 2014

Sport, divertimento, solidarietà: Il Trofeo Master37 2014

Nel 1978, alle Hawaii, da una scommessa tra 3 marines Americani che, forse (probabilmente) un po' alticci, si prendevano in giro parlando di quale fosse la gara più dura tra la "Waikiki Roughwater" (2,4 miglia di nuoto), la "Around Oahu Bike Race" (112 miglia in bici) e la "Honololu marathon" (26,6 miglia di corsa), nasceva il Triathlon - o, meglio, nasceva l'idea del primo Ironman della storia - folle sintesi delle tre gare oggetto della contesa alcoolica.

Questa storia, per quanto suggestiva, impallidisce al cospetto delle nobili e ben più leggendarie origini del prestigioso "Trofeo MASTER37", nato dalle prese per il culo in giro di due rincoglioniti laziali, al secolo Master runner e Stefanolacarastrong (per saperne di più www.stefanolacara.com/2012/10/le-cazzate-di-master-ovvero-37kmh-al.html)

La prima edizione del Trofeo, tenutasi lo scorso 22 settembre sull'Istmo di Foce Varano (FG)  in occasione del Varano Lake Tri 2013, ha visto la vittoria proprio di Gianluca "Maste Runner", che ha percorso i 10.700 metri del rettilineo finale ad una media di 35,5 km/h (potete vedere una sua foto qui accanto, con indosso uno dei prestigiosissimi premi messi in palio dall'organizzazione).

Ed ora, ecco l'annuncio che tutto il mondo della triplice attendeva con ansia: la seconda edizione del "Trofeo Master37" si svolgerà il prossimo 1° giugno, in occasione dell'Ironman 70.3 di Pescara, sulla fettuccia che riporterà i concorrenti verso la T2 (qui troverete il segmento Strava: www.strava.com/segments/7027874).


Come avrete compreso, anche questa - sia pur importantissima - kermesse non può sfuggire al più puro Zona Cambio style, fatto di sano agonismo, un pizzico di competizione, una manciata di cazzeggio e tanta, tanta allegria, alla quale, in queste occasioni, si unisce anche la solidarietà.

Infatti, come già avvenuto lo scorso anno, l'intero ricavato verrà devoluto in beneficenza ad una Onlus (reale...) che, per questa seconda edizione, sarà l'associazione A.F.O.M.A "Sasso nello stagno" di Crotone (http://afoma-com2.webnode.it) che si occupa di fornire assistenza a giovani ed adulti diversamente abili.

Tra le diverse iniziative intraprese, dal gennaio del 2013 l'associazione porta avanti un progetto denominato DALILA (Disabili a Lavoro per L'Integrazione e L'Aggregazione). Tale progetto si svolge presso la Casa Dalila (che, peraltro, necessita di arredi e suppellettili), coinvolgendo 20 ragazzi diversamente abili, impegnati in laboratori destinati alla trasformazione di prodotti agro-alimentari e nella produzione di oggetti di artigianato.

Proprio da questi laboratori arriveranno alcuni dei premi destinati ai vincitori (maschile e femminile) del "Trofeo Master37": un fantastico cesto di prodotti agro-alimentari ed artigianali, realizzati appositamente per l'occasione!!!


Allora, cosa aspettate ad iscrivervi? Non lasciatevi sfuggire l'opportunità di fare del bene divertendovi e, non da ultimo, di poter prendere per il culo per un anno intero gli amici e/o i compagni di squadra ai quali avrete "dato la paga", bevendo alla faccia loro - o, meglio ancora, insieme a loro - un ottimo Limoncello DALILA.

Le modalità di adesione sono semplicissime: basterà essere iscritti all'Ironman 70.3 di Pescara, segnalare il vostro nominativo sull'apposito topic pubblicato sul Forum di Zona Cambio (http://www.zonacambio.com/forum), versare un piccolo contributo di almeno 5 euro - direttamente sul Conto Corrente dell'Associazione A.F.O.M.A. (Iban  IT27T0525622210000000884154 intestato a Associazione Famiglie Ospiti Marianna Agostino) oppure personalmente ai ragazzi di Zona Cambio a Pescara -, caricare entro l'8 giugno su Strava (http://www.strava.com/) il file della vostra performance, ed il gioco sarà fatto.

Nessun giudice, nessuna giuria, solo sport, divertimento e solidarietà Zona Cambio style!!! 

Iscrivetevi, fate iscrivere i vostri amici ed i compagni di squadra e... A TUTTA. Dajeeee!!!! 

Per qualsiasi informazione, fate pure riferimento al Forum di Zona Cambio.







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